La foresta d'inverno: Team G

La Follia.

Le iridi diamantine volgevan su quel ninja dall’entità sconosciutà. Senza esitare, nè tergiversare oltremodo, il giovane Meiji strinse in un pugno il palmo, una linfa d’adrenalina scorreva nelle sue vene. il giovane dal candido derma, fu accolto da un'ambigua veduta, poichè v'era la fatale morsa del gelo ad attanagliar tale landa, simile alla sua terra natia, difatti la mente del giovane dal diafano profilo rimembrò, per qualche fugace ed effimero istante, rimembrò la sua infanzia. Pungente spirava la corrente glaciale del luogo, trasportando nel suo moto perpetuo il crine argentato del ragazzo, che caoticamente sembrava danzar assieme al gelo, mentre emozione di sorta alcuna era dipinta sul volto di Meiji, pareva che alcunchè potesse tangerlo, neppur cotale veduta di sgomento e contesa. V'è onore per colui che comprende ed accetta il fato imposto, v'è gloria per coloro che lottano per mutare l'esecrabile sorte, tessuta dalla mestizia e dal cordoglio, poiché inesorabile è l'angoscia nell'umano sentiero. Fioco era il bagliore che irradiava il suo tenue profilo, sì diafano ed efebico, al contempo le iridi diamantine, placide, sostenevan la veduta esoterica. La folte crine aurea sinuosa pareva danzar allo spirar dei venti, sporadicamente essa ometteva la visione dell'efebico ed ammaliante volto. Il viso suo non trasudava emozione di sorta alcuna, sembrava che egli medesimo non nutrisse sentimento alcuno, schivo, distaccato e glaciale in medesima guisa. Pareva che egli non fosse in grado di emanar l'umano tepore, prerogativa dei mortali, lecito era il quesito se egli lo fosse, un velo di mestizia era dipinto sulla superficie del volto, monito di una recondita malinconia celata, appartenente ad illusioni che non avevan più ragione d'esistere...L'oscurità pareva avvolgere il suo spirito, un tetro oblio ammantava il suo essere. Un silenzio quasi innaturale scese sul piccolo bosco, mentre la brezza ancora soffiava, lenta e costante, come se non fosse accaduto nulla in quegli istanti. I corvi, nere macchie sul cielo ancora grigio, carico di nubi, piogge e presagi, gracchiarono con forza, sentendo che, infine, quello scontro stava per iniziare, che il loro banchetto, fatto coi resti di ciò che sarebbe stato lasciato dai predatori, potrà cominciare. Eppure, in quei suoni tanto familiari v'era qualcosa di strano, qualcosa di pauroso e di spettrale. Sembrava che la Morte stessa, quel giorno, armata della sua cupa falce e coperta dal lungo e scuro mantello, fosse giunta in quello sperduto e teatrale bosco. Sangue. Una lunga stria cremisi spruzzò dalla profonda ferita sul braccio della traditrice, mentre il suo grido di dolore veniva soffocato. Il liquido sembrò danzare nell'aria, seguendo i ritmici movimenti del vento, le folate d'aria salmastra che giungevano fino a quel piccolo bosco, fino al luogo della battaglia, che ben presto sarebbe divenuto di morte. Poi, una raffica più forte delle precedenti sibilò attorno a Meiji, scompigliandogli i capelli, facendoli ricadere fin quasi sugli occhi. Sotto quell'improvviso movimento dell'aere, il suo ampio e scuro mantello si mosse, quasi danzando al ritmo delle folate, formando nuove pieghe. In quel momento, alcune domande si poneva. Perché era fuggito? Voleva davvero ritrovare suo fratello o aspirava ad un suo continuo miglioramento? Parole dure, parole tristi, che, però, non facevano altro che rispecchiare la verità di quel mondo crudele. Non capirlo, non volerlo accettare, era solamente un comportamento infantile. Fuggire non aveva alcun senso, se ogni luogo di quell'intero, putrido mondo era uguale a quello che ci si lasciava alle spalle. Eppure lui lo aveva fatto. L'unica differenza fra Oto, una terra di folli assassini, e villaggi come Konoha o Suna, in cui la violenza era aborrita, era l'ipocrisia che aleggiava negli ultimi. Quegli shinobi non uccidevano forse come tutti gli altri? I loro anbu non torturavano i nemici per ottenere informazioni, proprio come tra le fredde zone Otiane? Dov'era, dunque, la differenza? Dov'era la ricerca della pace e dell'amicizia, che tanto venivano sbandierate come simbolo di "umanità"? Eppure, come si faceva a non rendersi conto che erano proprio gli uomini a rendere tanto putrido ed odioso quel mondo? Come si poteva essere tanto ciechi da non vedere che erano stati loro a creare le armi, la guerra, le violenze? Le idee della pace e dell'armonia erano venute solamente dopo, quando le persone più deboli, schiacciate dall'orrore che loro stessi avevano creato, avevano dovuto trovare degli ideali cui aggrapparsi, delle scuse con cui eliminare il senso di colpa dal proprio animo. Ma la verità era lì, dinanzi agli occhi di tutti, chiara ed inamovibile. Erano soltanto gli stupidi e i codardi che si rifiutavano di vederla, di comprenderla, che speravano di poter cambiare le cose, di poter migliorare il mondo. Ma, per migliorarlo, per cambiarlo, per eliminare le guerre e la violenza, ci sarebbe stato un unico, insensato, folle modo: eliminare l'umanità stessa. Ma ora la sola unica cosa che lo tormentava era il portare a termine quella missione, per poi finanziarsi le ricerche del fratello perduto. La follia gli pulsava nella mente stessa, preda di un sangue ormai non più celato nelle strette vie della linfa vitale. Cigolava, bagnava il terreno stesso irradiando quel profumo corporeo che si librava nel bosco.

Lentamente portò la mano sulla bocca del porta kunai, estrasse due Shuriken uchiha. Mentra si preparava a lanciarli la mano gli tremava, non per paura ma per la sua malsana follia. Fallire significava rimanere nel limbo, non essere ne un Ninja ne qualcos'altro. Forse in fondo qualcosa lo provava. Paura. Paura del niente, paura del vuoto. Paura di diventare sia l'uno che l'altro.
Lanciò gli Shuriken adibiti a festa per vie laterali, un lancio alla boomerang che avrebbero occupato i lati di quel ninja di Iwa. Mentre frontalmente lo avrebbe colpito con una serie di palle di fuoco. Diverse palle di fuoco furono lanciate da Meiji. Sembrava che il suo corpo bruciasse, lentamente.